Cos’è il mobbing familiare?
L’espressione mobbing familiare è stata coniata dalla giurisprudenza per indicare quei comportamenti vessatori e prepotenti di un coniuge nei confronti dell’altro o verso i figli. Tali comportamenti sono considerati rilevanti ai fini dell’addebitabilità della separazione in quanto si pongono sicuramente in violazione dei doveri nascenti dal matrimonio indicati nell’art. 143 del codice civile.
In tale ottica, costituisce motivo di addebito della separazione la condotta del marito che nel corso della convivenza matrimoniale si rivolga alla moglie con espressioni offensive e irriguardose, anche in presenza di terzi, e le renda la convivenza intollerabile. Rientra nel mobbing familiare anche la condotta del marito che non assiste la moglie quando ha problemi di salute o le impone pratiche sessuali violente o estreme.
Tali condotte, invero, sono contrarie non solo ai doveri nascenti dal matrimonio ma anche alle comuni regole che impongono il rispetto dell’altrui persona, oltre che violatrici del principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi risultante dal combinato disposto degli articoli 3 e 29 della Costituzione.
Il caso
A tal proposito, si segnala una sentenza di merito della Corte di Appello di Torino che ha disposto l’addebito della separazione al marito richiamando espressamente la nozione di mobbing. Esso veniva individuato nel comportamento vessatorio del marito nei confronti della moglie, che era sottoposta ad umiliazioni quotidiane e le aveva reso la convivenza intollerabile. Il marito assumeva nei confronti della moglie, anche davanti ad amici e parenti, un atteggiamento sprezzante esternando valutazioni negative sul suo aspetto estetico e sulle sue modeste origini familiari. La Corte ha ritenuto tali comportamenti “violatori del principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi posto in generale dall’art. 3 Cost. che trova, nell’art. 29 Cost. la sua conferma e specificazione. Pertanto, al marito deve essere ascritta la responsabilità esclusiva della separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri (diversi da quelli di ordine patrimoniale) che derivano dal matrimonio, in particolare modo al dovere di correttezza e di fedeltà” (Corte d’Appello di Torino del 21 febbraio 2000).